Lo dice anche ISTAT – Come cambia il volontariato

Il volontariato non è più quello di una volta? Certo! E adesso lo certifica anche l’ISTAT.

Non è una notizia che ci deve spaventare. Al contrario, è il segnale che serviva per cambiare passo.
Spesso, quando entriamo in un ente, ci sentiamo dire c’è questa: “una volta i volontari arrivavano da soli… adesso non si trova più nessuno”.

Però non è del tutto vero che “nessuno si muove più”.

Nel nuovo report ISTAT pubblicato a fine luglio, emerge un dato interessante:
è vero che sono diminuiti i volontari attivi, ma è anche vero che chi si impegna oggi lo fa spesso in modo più intenso e su più fronti.
Non si limita a un’associazione o a un gruppo. Affianca forme diverse di impegno. Sceglie di partecipare a modo suo.

Sta cambiando il modo di stare dentro al volontariato. Sta cambiando il profilo delle persone. E spetta alle organizzazioni avere la capacità di adattarsi.

i numeri, in breve Non tutto è in calo. I segnali ci raccontano il cambiamento. Ma il volontariato resiste!

I numeri in breve

Nel 2023, ha svolto attività di volontariato il 9,1% della popolazione sopra i 15 anni.
Si parla di circa 4,7 milioni di persone, tra chi partecipa ad attività organizzate e chi offre aiuti diretti.
Nel 2013 erano il 12,7%. Un calo importante.

Ma, nello stesso periodo, la quota di chi fa entrambe le cose – cioè volontariato ibrido – è triplicata: dal 8% al 21,7%.
Un segnale chiaro: il volontariato non sparisce, ma cambia forma. E chiede alle organizzazioni di cambiare linguaggio, approccio, offerta.

Cambia il profilo dei volontari:

  • Cala la partecipazione dei giovani (soprattutto tra i 15-44 anni), mentre resta stabile o cresce tra gli over 65. In particolare: Il calo più marcato è tra i giovanissimi (15-24 anni), dove la partecipazione si è praticamente dimezzata. Gli over 65 mantengono o aumentano leggermente il proprio impegno, soprattutto nella fascia 75+.
  • Uomini e donne si equivalgono numericamente, ma con leggere differenze di approccio: più uomini nell’organizzato, più donne nell’aiuto diretto.
  • I laureati restano i più attivi, ma la partecipazione è calata anche tra loro.
  • L’intensità media è di 18 ore ogni 4 settimane, con picchi per chi opera su più fronti (oltre 28 ore)

E quindi, cosa serve fare?

ISTAT fotografa un cambiamento già in atto.
Ma questo cambiamento va tradotto in scelte. Di metodo, di proposta, di linguaggio.

Serve metodo Il volontariato non “arriva da sé” Investi sulla strategia e sull’identità.

Serve metodo

Oggi più che mai serve un approccio strategico.
Applicare metodo significa pianificare la ricerca di volontari partendo da un profilo preciso, pensare a una proposta costruita sui bisogni e sulle motivazioni anche delle nuove generazioni.
I giovani non arrivano più da sé: vanno cercati, coinvolti e accompagnati in esperienze che abbiano senso, siano utili alla causa ma anche soddisfacenti per chi le vive.

Non basta “l’opportunità giusta”: serve un’organizzazione capace di accogliere, far crescere e valorizzare.
Un’attività volontaria funziona quando genera impatto concreto e, allo stesso tempo, parla agli interessi personali: che sia utile, formativa, divertente, leggera o condivisa, deve avere un valore anche per chi la svolge.

Serve una proposta Bisogna offrire “esperienze di senso”. E dare spazio alla flessibilità.

Serve una proposta diversa

L’esperienza degli ultimi vent’anni ce lo insegna: per continuare a coinvolgere nuovi donatori di tempo, dobbiamo riposizionarci.
Le organizzazioni devono saper offrire esperienze di senso, capaci di attivare anche chi ha poco tempo o desidera mettersi in gioco in modo non continuativo.
Servono formule leggere, flessibili, occasionali, più vicine all’attivismo che all’affiliazione tradizionale.

Dentro questa trasformazione, il fundraising può giocare un ruolo chiave.
Le attività legate alla raccolta fondi e alla sensibilizzazione sono, per natura, più aperte alla partecipazione ibrida e spesso più affini al linguaggio e alle competenze dei giovani.
Offrono occasioni per diventare protagonisti del cambiamento, anche senza un impegno strutturato.
Non basta “cercare volontari”: bisogna proporre forme nuove, capaci di intercettare energie diverse.

Serve comunicare Bisogna dare voce ai giovani volontari e far comprendere l’impatto.

Serve comunicare meglio

Infine, serve rimettere mano alla comunicazione.
Chi sono i vostri volontari? Perché fanno ciò che fanno? Che impatto generano?
Se non sapete raccontarlo bene, sarà difficile coinvolgere altri. E sarà difficile farli restare.

La comunicazione va ripensata insieme ai volontari più giovani, chiedendo il loro aiuto per costruire nuovi linguaggi e messaggi.
È il tempo di una narrazione che coniughi emozione e concretezza, valori e impatto.
Perché oggi più che mai, ciò che attrae è la possibilità di fare la differenza. In modo autentico, visibile, coerente con i propri valori.

Non è finita l’epoca del volontariato. È finita l’epoca dell’improvvisazione.

Chi pensa che il volontariato stia scomparendo, guarda solo i numeri in calo. Ma i numeri non dicono tutto.
Il volontariato non è sparito: ha solo smesso di essere scontato.
Oggi non basta aprire una sede o pubblicare una locandina per avere nuovi volontari.
Serve visione, metodo, proposta. Serve un lavoro intenzionale.
Non concediamoci di piangerci addosso, e invece passiamo all’azione!

Se nella tua organizzazione non sapete da dove iniziare: fatevi affiancare. Formatevi. Investite.
Perché i volontari non si reclutano con una locandina. Si attraggono con senso, si trattengono con cura.

 

👉 Il report completo ISTAT è disponibile qui
📩 E se volete parlarne, siamo a disposizione. Prendiamoci 30 minuti per costruire insieme il vostro piano volontari.

Laura Lugli

Laura Lugli

Direttrice di Fundraiserperpassione

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