Terzo settore… ma sarà davvero il Terzo?

Articolo pubblicato su Rezzara Notizie, organo informativo dell’Istituto Rezzara di Vicenza

Partiamo dai dati. Ancor prima di fare riflessioni e considerazioni, vale davvero la pena di dare uno sguardo a quel che è successo a questo settore negli ultimi 20 anni. Analizziamo il Terzo settore, che non era ancora appellato in questo modo qualche anno fa, ma era considerato più genericamente “settore non profit” quindi, nemmeno con una propria identità, in sostanza tutto ciò che non era pubblica amministrazione e tutto ciò che non era for profit, era non profit.

Difficile dare forma e dignità ad un settore partendo da una negazione.

Comunque da qualche tempo è diventato il Terzo Settore, non è il massimo, e nelle righe seguenti spiegheremo perché, ma per ora ci accontentiamo, perché la semantica ha un valore e quindi è inevitabile pensare che il Terzo Settore arrivi dopo il Primo e dopo il Secondo e quindi sia (a torto) considerato un po’ meno importante.

Ma torniamo ai dati: questo settore viene “misurato” da Istat nel 1999, anno in cui si è svolto il primo censimento e una seconda volta 10 anni dopo. Il risultato è così sorprendente che nel 2016 ISTAT ha deciso di inserire il settore nei censimenti permanenti e quindi con un monitoraggio annuale.

Effettivamente dal 1999 al 2020 le istituzioni non profit, così come vengono definite dall’Istituto di Statistica Nazionale, sono passate da 221.412[1] a 363.499[2], con un incremento quindi del 64% in 20 anni. Anche le persone occupate, considerati i dipendenti ed i collaboratori, hanno subito un consistente incremento, passando da 630.000 nel 1999 a circa 870.000 nel 2020 e anche qui l’incremento è nell’ordine delle decine, precisamente del 38%.

Infine, altro dato significativo, nel 2017 sono stati contati oltre 7 milioni di italiani[3] che hanno donato parte del loro tempo per attività che dello stesso anno, il medesimo della pubblicazione del Testo di Riforma del Terzo Settore[4], definiremo di “interesse generale” per complessive circa 1, 3 miliardi di ore di volontariato prodotte.

Il volume delle risorse amministrate è di circa 84 miliardi di €uro, in sostanza il 4,5% del pil del Bel Paese. Se a questo dovessimo aggiungere una approssimativa valutazione monetaria delle ore di lavoro volontario prodotte il cui costo medio viene indicato in 29,3 €/ora[5] giungeremo così ad un valore di circa 122 miliardi di € cioè circa 6,3% del Pil.

E tutto questo senza conteggiare l’inestimabile valore relazionale prodotto da questo settore nell’organizzazione e nella risposta ai bisogni e ai desideri delle persone e delle comunità.

Osservando questi dati viene davvero da pensare che in un periodo di circa venti anni, durante il quale ci sono state quattro crisi mondiali: quella delle Dotcom del 2000, quella finanziaria / economica del 2008/2010, il Covid del 2019/2020 e la guerra scatenata dalla Russia con tutti i risvolti sulle fonti energetiche e relativi costi, come sia possibile che in così lungo tempo di stagnazione o addirittura recessione economica, le imprese non profit continuino a crescere e prosperare, mentre nello stesso periodo in Italia si sono “perse” centinaia di migliaia di imprese, per così dire, classiche.

La risposta sta nel modello di impresa che caratterizza le non profit e nell’approvvigionamento delle risorse che riescono a fare e di cui hanno bisogno per sviluppare la propria missione. Certo, perché questa originale tipologia di impresa riesce laddove altre forme organizzative di produzione non riescono: è infatti in grado di attivare risorse umane ed economiche che altre forme di impresa non possono mettere in azione, anche se in verità lo fanno spesso senza consapevolezza, pur se solo in piccolissima parte.

Queste risorse hanno un nome preciso: si chiamano volontariato, donazioni di competenze, donazioni di relazioni, donazioni di beni economici, sì, donazioni, perché lo strumento attraverso il quale queste risorse vengono messe a disposizione delle imprese non profit, e quindi dei beneficiari dell’attività di queste ultime, è il dono. Infatti l’unico modo per attivarle è che chi le possiede decida di donarle, non vi è altro modo.

D’altra parte il dono è un fattore genetico per una organizzazione non profit. Queste imprese si costituiscono per rispondere alle necessità e ai desideri di “non clienti”, o perché non vogliono o perché non possono pagare il prezzo di quello di cui avrebbero bisogno o, appunto, desiderio.

Ad esempio, per coloro che intendano pagare un prezzo per avere dei servizi di welfare, il mercato è organizzato per dare delle risposte, me per tutti gli altri? Di conseguenza, considerato che comunque per produrre valore servono investimenti e risorse, le imprese non profit attivano processi donativi attraverso i quali coloro che detengono queste risorse (beni economici, tempo, competenze e relazioni) sono disponibili per svariati motivi, a metterle a disposizione.

Ecco perché anche se “il mercato non gira” le organizzazioni non profit non solo riescono ad operare, ma a produrre valore. E questo senza considerare tutta la produzione di beni relazionali, intangibili, ma indispensabili non solo perché il Primo e il Secondo settore funzionino, ma soprattutto per creare comunità dove sia desiderabile vivere per tutti.

Quindi quando si affronta il tema delle imprese non profit, sarebbe bene aver la consapevolezza che non si tratta di un settore residuale, dove si lavora (anche il volontario svolge un lavoro benchè non retribuito con un corrispettivo economico, sempre di lavoro si tratta) nel tempo libero o, peggio, che si attiva quando gli altri due (mercato e pubblica amministrazione) non funzionano, ma è necessario, e giusto, considerare questo settore almeno alla stregua degli altri due, perché ha uno scopo ben preciso nell’organizzazione complessiva delle nostre comunità.

Le imprese non profit hanno il compito, come tutte le altre imprese, di produrre valore per far star meglio le persone, sia che siano singoli o gruppi, e per tutta la comunità. Sia che si tratti di servizi diretti ai beneficiari come, ad esempio, nei settori della povertà, del welfare, dell’assistenza a gruppi di persone fragili, sia che si tratti di investire nel futuro delle comunità come quando si opera nell’istruzione, nell’ambiente, nella cultura, ma anche nello sport e nel benessere personale, nella cooperazione internazionale, le organizzazioni non profit riescono a convogliare e organizzare risorse rendendo maggiormente efficaci le comunità.

Il così detto Terzo Settore, in particolare durante la recente pandemia, ha dimostrato di essere all’altezza del proprio compito, nei primi mesi del 2020, quando la pubblica amministrazione era in panne, sorpresa dall’ondata di contagi, quando l’economia era sostanzialmente bloccata, qual è il settore che non solo ha continuato ad operare, ma ha tenuto insieme le nostre comunità? Il Terzo! Ha rinforzato i legami tra le persone producendo lo sforzo necessario perchè nessuno fosse lasciato solo. Un esempio: i volontari di Bergamo in una settimana hanno realizzato un ospedale, ed è solo uno tra i tantissimi casi quotidiani di quello che, se organizzato, un ente non profit riesce a produrre. Una cosa simile non sarebbe riuscita né avendo solo i soldi, tanto meno se lo avesse dovuto fare una pubblica amministrazione.

Quindi chi opera in una cooperativa sociale, in una associazione, in una fondazione, in una impresa sociale o in un comitato dovrebbe avere questa consapevolezza, soprattutto se è un dirigente che guida queste istituzioni. La consapevolezza che il Terzo settore, funziona anche quando gli altri due fanno grande fatica o non sono attivi, mentre non è sempre vero il contrario. Abbiamo bisogno di organizzazioni non profit sempre più efficaci e che siano considerate il valore che hanno e che producono e per il peso specifico che possono, e devono, avere nelle nostre comunità.

Forse varrebbe la pena di rivedere la classifica.

Luciano Zanin

CEO Fundraiserperpassione – società benefit

[1] www.istat.it/it/censimenti/istituzioni-non-profit

[2] www.istat.it/it/archivio/275918

[3] R. Guidi, K. Fonic, T. Cappadozzi: Volontari e attività volontarie in Italia, ed. Il Mulino, 2017

[4] D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117

[5] https://quifinanza.it/lavoro/video/scende-il-costo-del-lavoro-orario-italia-appena-sopra-la-media-ue/627037/

Photo by Josh Appel on Unsplash

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